CACCIA
Purtroppo non è possibile sapere quanti animali muoiono ogni anno a causa della caccia. Ogni cacciatore è, o dovrebbe essere, munito di un tesserino venatorio dove dovrebbe annotarsi il numero degli individui cacciati ogni giorno, senza superare il limite giornaliero e stagionale consentito. Successivamente dovrebbe consegnare il tesserino alle Ripartizioni Faunistico Venatorie. Di fatto accade solo in parte. Data la scarsità dei controlli sul territorio, ogni cacciatore può arbitrariamente annotare (o non annotare) quello che vuole, quindi, alla fine, la quantità dichiarata sarà sicuramente inferiore. Possiamo certamente affermare che ogni anno vengono uccisi milioni di animali, e tra questi vi sono anche specie particolarmente protette dalla legge come i rapaci: arrivano ai Centri Recupero con ferite da arma da fuoco, confermate dalle lastre effettuate. Questo significa che ci sono in giro cacciatori che, durante la stagione venatoria (e non solo) abusano del fucile e del relativo patentino di caccia per sparare a qualsiasi specie (è chiaro che un rapace non può essere scambiato per un tordo!). Dovrebbero esserci più controlli e soprattutto degli esami più rigidi per l’abilitazione alla caccia.
Purtroppo la caccia è ancora legale, e ciò che la Lipu fa ed ha fatto è creare nuove guardie venatorie volontarie che agiscono sul territorio cercando di far rispettare le normative. Altre azioni sono la pubblicazione di articoli, la creazione di petizioni, la sensibilizzazione del pubblico ed l’intervento sulla legge nazionale e sui calendari venatori regionali per cercare di proporre modifiche o abolizioni di articoli ad esempio sul numero degli uccelli cacciabili, sulle specie a rischio, sugli uccelli migratori o nidificanti che ancora, fino a novembre, sono in spostamento o in cova, ecc. Il numero dei cacciatori, comunque, è in diminuzione, questo sia grazie all’azione delle associazioni ambientaliste, sia alla sempre più crescente considerazione dei cittadini che hanno sulla salvaguardia dell’ambiente e sul fatto che la caccia è considerata uno “sport” crudele e inaccettabile, un “passatempo”, un mezzo usato per sfogare la rabbia distruttiva di una buona parte della popolazione italiana: i cacciatori.
Bisogna tenere alta l’allerta, più volte infatti in passato sono state fatte clamorose proposte di liberalizzazione della caccia come le pre-aperture e prolungamenti, caccia nei parchi, caccia durante la stagione riproduttiva, depenalizzazioni di gravi reati di bracconaggio, ecc.
Vi sono vari modi per sensibilizzare le persone nel rispetto della natura e dell’ambiente, come le visite guidate negli ambienti naturali, l’allestimento di stand informativi nelle piazze, la pubblicazione di articoli o comunicati stampa. Ma il modo migliore per sensibilizzare la gente è senz’altro l’educazione ambientale nelle scuole. I bambini, si sa, imparano bene ed in fretta, e se educati nella giusta maniera potrebbero darci un futuro migliore, sono la speranza del domani, e noi abbiamo questa responsabilità nel dirigerli nella giusta strada.
Purtroppo in Italia vi sono diverse associazioni venatorie che propongono ed effettuano “educazione ambientale”, così da loro definita, mostrando tecniche di caccia, spiegando come la caccia sia ”importante” nell’equilibrio della natura.
BRACCONAGGIO
Discorso a parte va fatto, invece, per il bracconaggio, una pratica molto antica, adesso del tutto illegale ed inaccettabile, fatta sia da cacciatori che adottano misure vietate, ma soprattutto da persone che con la caccia non hanno niente a che vedere, che, sparano a rapaci per stupide tradizioni popolari, che durante tutto l’anno, utilizzano i metodi più disparati e crudeli per catturare una gran quantità di animali selvatici. Queste persone, giustificando il loro operato col fatto che si dichiarano povera gente, riescono invece a campare solo con la cattura degli uccelli, rivendendoli (pratica illegale) nei ristoranti. La LIPU già dagli anni’80 organizza dei campi antibracconaggio rivolti alla repressione della pratica con individuazione dei bracconieri anche tramite l’utilizzo di telecamere, con l’asportazione e distruzione delle trappole, con la segnalazione e la denuncia alle Forze di Polizia. In particolare vi sono due campi antibracconaggio che la LIPU opera con successo: quello sullo Stretto di Messina (versante calabrese), e quello nel Cagliaritano. Nel primo, si contrasta l’uccisione dei rapaci in migrazione, in particolare del falco pecchiaiolo; stupide tradizioni volevano che, chi non riusciva ad uccidere almeno un falco al giorno, perdeva la propria virilità e veniva deriso in paese davanti a tutti . La massima aspirazione per un bracconiere reggino è uccidere almeno 30 falchi al giorno. Nel secondo campo, vengono tolte le trappole a cappio e le reti che i bracconieri piazzano nei boschi per catturare tordi e pettirossi (usati in cucina e molto ricercati) che muoiono strozzati dopo lunghe ore di agonia. Ultimamente si stanno facendo degli incontri con le scuole di Cagliari per sensibilizzare i bambini, molti dei quali sono figli di bracconieri.
FALCONERIA
Ultimamente sta rinascendo la moda della falconeria, pratica utilizzata nel medioevo, ed ora in forte espansione. E la cosa più assurda è che si tratta di un’attività del tutto legale, usata a volte negli aeroporti per allontanare stormi di uccelli “problematici” per gli aerei (pratica discutibile, come se i rapaci non esistessero già in natura), ma usata sempre più spesso per dimostrazioni al pubblico, in presenza di bambini. Io ritengo che sia un’azione diseducativa perché i rapaci appartengono a fauna selvatica e tali devono rimanere, liberi di volare. Bisogna far capire che i rapaci sono all’apice della catena alimentare, contribuiscono a mantenere l’equilibrio naturale, e tenerli in gabbia non serve assolutamente a nulla. Oltre il fatto che i falconieri inducono i bambini ad imitarli, andando a cercare i nidiacei nei nidi per allevarli in cattività, in maniera illegale e scorretta, finendo poi per abbandonarli perché non in grado di gestirli. Questa pratica del prelievo in natura, purtroppo, è usata dai bracconieri che strappano i nidiacei dai genito
ri in maniera del tutto illegale e spacciandoli per rapaci allevati regolarmente da centri autorizzati e con anelli e certificati falsificati, gli stessi rapaci che poi mostrano al pubblico.
Il traffico di rapaci è al 4° posto dopo quello di droga, armi e prostituzione! Una coppia di aquile di Bonelli, per esempio, può essere venduta fino a 20 mila euro!
Nel 2010 nasce in Sicilia il Gruppo Tutela Rapaci, un coordinamento di volontari di diverse associazioni ambientaliste, tra cui la Lipu, col fine di proteggere le residue coppie nidificanti di rapaci in via d’estinzione in Sicilia, come l’aquila di Bonelli, il lanario e il capovaccaio. Maggiori informazioni potete trovarle sul sito web https://www.gruppotutelarapaci.it/
IL MERCATO DEGLI UCCELLATORI DI BALLARO’
La provincia di Palermo, come le altre di tutta la Sicilia, è al centro di un florido traffico di avifauna selvatica. Oggetto del commercio illegale sono soprattutto fringillidi e cardellini in particolare. Quest’ultimo è infatti l’uccello da canto tradizionalmente più in uso nei balconi di Palermo. Vi è addirittura un quartiere della città (Cardillo) il cui nome deriva da una veloce trasformazione del nome dialettale dato al cardellino (cardiddu).
Alle decine di migliaia di palermitani che detengono il singolo “cardiddu” in gabbia si devono considerare alcune centinaia di allevatori. Un incrocio tra cardellino e canarina viene venduto ad un prezzo base di 200-250 euro, ma è risaputo di veri e propri campioni contesi fino a 2000 euro. In genere un cardellino di cattura viene venduto ad un prezzo di dieci euro, così come i “nuvidduna” (pulcini di cardellino prelevati dal nido ed affidati alle cure di una canarina). Se trattasi di un uccelletto ormai abituato alla cattività (manzo) il prezzo è intorno ai 25 euro.
La principale piazza di vendita siciliana è i1 mercato storico di Ballarò, a Palermo. Ogni domenica mattina un settore del mercato, inserito ai margini del mercato storico ed altro domenicale dai mille traffici, una quindicina di bracconieri espongono la loro “mercanzia” frutto delle razzie nella natura di più province siciliane.
Si tratta di un ambiente difficilissimo da controllare. Tra i vicoli del centro storico di Palermo, tutto viene venduto alla luce del sole tra migliaia di frequentatori del mercato di Ballarò (unica possibilità di controllo è infatti la “mimetizzazione”). Oltre alla attività repressiva più volte si è potuto constatare come in più occasioni l’Arma dei Carabinieri ha denunciato (soprattutto nel corso di posti di blocco) decine di uccellatori mentre rientravano con il “bottino” in città.
In media al mercato di Ballarò vengono venduti dai 100 ai 300 fringillidi (messi in strette gabbie dette “ricevitori”), di cui la maggior parte sono cardellini, ma anche verdoni e verzellini. Nel periodo invernale, con l’arrivo di contingenti svernanti, aumenta il numero dei fringillidi in vendita. Mentre, nel periodo estivo, con l’involo dei giovani di cardellino, verzellino e fanello, il numero degli uccelli può arrivare a 500 o 1000. Non sono mancate anche altre specie di animali selvatici come testuggini palustri, conigli, cinciallegre, ballerine gialle, parrocchetti dal collare, uccelli acquatici e perfino rapaci.
Palermo continua a rappresentare una delle principali piazze italiane per la vendita di fauna protetta.
La cattura avviene con reti messe sul suolo in ambienti naturali purtroppo non controllati. Avendo precedentemente preparato il terreno con fiori di cardo o semenze, atti ad attirare i cardellini, intorno all’area appendono delle gabbiette con i cardellini da richiamo – i quali, appena si avvicina lo stormo, ne attirano l’attenzione. In questa fase il bracconiere tira le corde delle reti che si chiudono su tutta l’area preparata, imprigionando tutti gli uccelli. Il 50% degli animali muore già dopo poche ore la traumatica cattura, mentre la quasi totalità della restante parte decede nell’arco di uno o due mesi massimo.
Gli animali selvatici sequestrati vengono in parte liberati ed in parte consegnati al Centro Regionale Recupero Fauna Selvatica di Ficuzza (PA) gestito dalla LIPU.
Si hanno poche fonti su dove vengono depositati i cardellini ed è difficile anche individuare i siti di cattura. La strategia migliore sarebbe proprio quella di identificate i depositi dove detengono i fringillidi.
L’unico mezzo che la Lipu di Palermo ha di contrastare il bracconaggio è quello di comunicati stampa ed esposti a tutte le Forze di Polizia (Prefettura, Questura, Carabinieri, Forestale, Polizia Municipale).